domenica 27 luglio 2008

Diritto e potere. Utilitarismo, libertarismo, Friedman, Rothbard

Pubblico un mio commento ad un post di Luigi Corvaglia che critica il libertarismo americano. In questa parte del commento parlo del diritto naturale in relazione all'evoluzione; nella seconda parte tocco temi disparati come: il monopolio, lo sfruttamento dei lavoratori, il caso Ravasin e i Radicali, il funzionamento di una società senza Stato.

Cominciamo.

1. Distinzione tra diritto e potere

Dici di "non credere nei diritti naturali”, su cui molti libertari americani fondano la propria filosofia.

L'unica cosa che mi preme notare è che, in un certo senso, la dottrina del "diritto naturale" è banalmente vera. Il senso è il seguente. Lo studio della biologia, e in particolare della psicologia evoluzionistica, rivela che la selezione naturale ha programmato i nostri cervelli, dotandoli di alcune regole morali di base; (regole piuttosto vaghe e generiche, come ad esempio "non utilizzare un tuo simile come mezzo non consenziente per uno scopo", o “è sbagliato aggredire un innocente”. Vedi il libro “Menti Morali” di Marc Hauser per ulteriori dettagli e per l'evidenza che queste regole non dipendono dalla cultura.)

Gli umani alla nascita non sarebbero dunque una tabula rasa, ma possiederebbero già alcune regole morali innate, pre-inserite nel cervello, pre-programmate, che definiscono cosa è "giusto". (Incidentalmente, una di queste regole sembra essere il rispetto dei diritti di proprietà: sembra che i bambini molto piccoli possiedano già il senso della proprietà.)

Queste regole innate sono comunque abbastanza generiche e possono essere “istanziate”, o “specializzate”, dalla cultura, o dalla scelta personale. Ad esempio, una regola innata sembra essere che “è sbagliato aggredire un tuo simile innocente”, mentre è probabilmente la cultura a definire chi è il “tuo simile”. (Ad esempio la cultura può stabilire che "tuo simile" è ogni individuo della tua religione, o ogni essere umano, o ogni essere umano maschio, o ogni essere senziente compresi gli animali, ecc.)

Queste regole generiche, che per natura sono presenti nei nostri cervelli, si possono chiamare "diritto naturale". Quindi, almeno in questo senso, il diritto naturale esiste.



Un altro modo di dimostrare l'esistenza del diritto naturale è questo. Supponi che uno Stato promulgasse una legge che dice che è consentito uccidere tutti quelli che hanno i capelli rossi. Questo renderebbe forse legittimo uccidere le persone dai capelli rossi? Darebbe forse a me il diritto di uccidere quegli innocenti? Certo che no. Ma allora il diritto non coincide con la legge dello Stato. Deve esistere qualche altro diritto, preesistente al diritto positivo, che ha per noi la precedenza. Questo diritto, questo insieme di regole di cui abbiamo dimostrato l'esistenza, che preesiste alle leggi dello Stato, si può chiamare diritto "naturale".

E “dove si trova” questo diritto? Forse in qualche platonico iperuranio? No. Lo studio della psicologia suggerisce che quelle regole si trovano semplicemente nel nostro cervello, proprio come un software si trova dentro un computer, sotto forma di configurazioni di simboli. Le regole del diritto sono il software, il cervello è l’hardware; il programmatore è l'evoluzione. E’ questa quindi la natura fisica di quelle regole: sono simboli scritti nel cervello, dotati di una natura materiale, come delle scritte in rilievo su un muro; sono simboli con proprietà causali sul mondo materiale; esistono nel mondo e non soltanto in un mistico iperuranio.

Quindi il diritto naturale esiste, sotto forma di regole scritte nel cervello sin dalla nascita. Cosa interessante, a quanto pare noi non abbiamo la capacità di modificare queste regole; cioè non possiamo ridefinire il concetto di “giusto” mediante la logica o la volontà. Ad esempio, anche se razionalmente mi rendo conto che, uccidendo Tizio, posso salvare la vita di mille persone, ciò non farà mai diventare giusta l’uccisione di Tizio. Non sono in grado di considerare “giusta” quella violenza su un innocente, anche se dal punto di vista utilitaristico sembra essere la cosa migliore da fare. (Attenzione: non sto dicendo che non sono in grado di fare quella cosa, ma solo che non sono in grado di percepirla come giusta.)

E perché non sono in grado di considerarla giusta? Per lo stesso motivo per cui non posso considerare verde una cosa che mi sembra gialla. In breve, perché è l'evoluzione che ha stabilito cosa il mio cervello può considerare giusto. Per dirla in modo teatrale, alla Dawkins, io sono una macchina fatta per considerare ingiusta quella cosa; e non sembro capace di riprogrammarmi e considerarla giusta. Il diritto naturale non sembra modificabile dall’uomo fino a tal punto.

(Sebbene l'informatica insegni che, entro certi limiti, una macchina potrebbe essere capace di riprogrammarsi, tuttavia, nel caso del senso di giustizia, l’evoluzione non sembra averci dotato di questa capacità. La cultura o la logica o la volontà possono solo specializzare entro certi limiti le regole innate, non reinventarle. La manipolazione diretta del cervello o del DNA potrebbe forse modificare il diritto in modo più radicale, ma non abbiamo ancora conoscenza sufficiente per far ciò.)

Riassumendo: il diritto naturale esiste, non è solo un'invenzione di Ratzinger; è un insieme di regole scritte nel cervello, che definiscono cosa noi consideriamo giusto, e sulle quali abbiamo relativamente poco controllo. Questo diritto naturale è indipendente dalle leggi dello stato (diritto positivo). Le leggi dello stato sono espressione del potere, non del diritto.

Ma tutto questo non dovrebbe far esultare i giusnaturalisti, perché, sebbene il diritto naturale esista, per quanto ne so nessuno ha ancora dimostrato che bisogna rispettarlo. (Anzi nessuno ha mai dimostrato alcuna proposizione contenente la parola "dovere".) Siamo perfettamente in grado di ignorare il diritto naturale, cioè di fare cose che percepiamo come ingiuste; e nessuno ha dimostrato che non "dovremmo" farlo. Perché dovrei rispettare il senso di giustizia che l'evoluzione (o Dio) mi ha dato? Nessuno, che io sappia, è riuscito a colmare il "buco" tra "ciò che è" e "ciò che dovrebbe essere"; tra normativo e positivo. (Rothbard e Hoppe sembrano credere di averlo colmato, ma secondo me si sbagliano.)

Un altro motivo per cui il libertario non dovrebbe esultare è che il diritto naturale non sembra coincidere del tutto con la teoria libertaria (vedi articolo di Pinker).

Prosegui:

C’è un che di mistico nel processo di transustanziazione della terra che, mescolandosi lockianamente al mio lavoro, diviene mia.

E’ vero, c’è un che di mistico. Ma, per quanto mistica, questa sembra essere la regola che l’evoluzione ha scritto nei cervelli. Ad esempio, un bambino di 4 anni dice “Questa conchiglia è mia, perché l’ho trovata io”. Oppure dice “Questa macchinina è mia, perché me l’ha data lui”. I bambini sono libertari innati --- e non solo sotto questo aspetto.

Del resto, la regola di "transustanziazione della terra" non è stata certo inventata da Locke, il quale si è limitato a formalizzare una regola che già conosceva intuitivamente. Il vero inventore della regola è l'evoluzione. Probabilmente quella regola aumenta la probabilità di sopravvivenza dei geni che la producono, ed è per questo che esiste nei cervelli umani.

In altre parole: io semplicemente sento che una cosa è mia di diritto perché l’ho trovata per primo. Il fatto che tutto ciò mi sembri “mistico” non cambia le cose: per quanto ciò mi sembri mistico, non potrò mai smettere di considerare legittimo proprietario colui che trova una cosa per primo. Non ho la capacità di ridefinire ciò che ritengo legittimo; non potrò mai cambiare idea su ciò che ritengo giusto (come su ciò che ritengo verde).

Poi dici:

Non esiste diritto se non riconosciuto.

Questo somiglia al positivismo giuridico, dottrina che ha dei problemi, messi in luce dal paradosso dei capelli rossi precedentemente citato, oppure dalla seguente domanda:

"Se la maggioranza smette di riconoscere il diritto alla vita degli ebrei, improvvisamente gli ebrei non hanno più il diritto alla vita? Improvvisamente colui che li uccide non sta più commettendo alcun crimine o ledendo alcun diritto?

E che dire della schiavitù? Il diritto dei neri non esisteva prima di essere "riconosciuto"? Gli schiavisti non stavano ledendo alcun diritto?"

A me pare impossibile rispondere di sì. Questo dimostra, a mio avviso, che il diritto non è il risultato di una convenzione o del consenso; è un insieme di regole preesistente a qualunque convenzione.

Oggi la scienza permette di spiegare come possa esistere qualcosa di "preesistente" alle convenzioni umane: il diritto naturale è preesistente alle convenzioni umane semplicemente perché è stato scritto nei nostri cervelli molto prima di qualunque convenzione; è stato scritto dall'evoluzione in tempi antichissimi. Le convenzioni umane, a quanto pare, se vanno contro quel diritto preesistente, vengono percepite come ingiuste. Il diritto è preesistente alla legge, e non può essere abrogato o modificato da alcuna convenzione. (Cioè, qualunque convenzione che provasse ad abrogarlo sarebbe immediatamente percepita come ingiusta.)

Esiste anche altra evidenza che il diritto preesiste alla legge o al consenso. Se il diritto non fosse preesistente alla legge, perché ci scalderemmo tanto quando viene promulgata una legge che ci sembra ingiusta? Come potremmo mai dire che una legge dello Stato è ingiusta, se fosse davvero lo Stato a definire il diritto, a definire cosa è giusto? Evidentemente il diritto deve essere già dentro di noi.

come diceva Stirner, la proprietà, più che un furto è “un dono”, perché è l’acquiescenza degli altri che ci permette di continuare a possedere.

Mi pare che tu confonda il potere col diritto. Il consenso degli altri ci dà il potere di continuare a possedere; ma non ci dà il diritto di continuare a possedere. Quel diritto ce l’abbiamo in ogni caso, è scritto nei cervelli, e nessuno ce lo può togliere (almeno fino a che costui non riprogramma il mio cervello in modo da cambiare la mia percezione di cosa è giusto e cosa no, di cosa è mio diritto e cosa no).


è allora ovvio che tutti partecipano, attivamente o passivamente, a definire i diritti vigenti in un dato momento e luogo;

Ma, Luigi, il diritto non è qualcosa che tu puoi “definire”, come fossi un burattinaio che sta inventando le regole con cui devono muoversi i pupazzi. Infatti, qualunque cosa tu “definisca”, se non è compatibile con le regole di giustizia che sono già presenti nel mio cervello, io la percepirò come ingiusta. Ma allora, tu non avresti “definito” il diritto; avresti definito solo il potere (che cosa io posso fare senza essere aggredito).

Ad esempio, se tu e un altro milione di persone stabilite che io non posso farmi una canna, non è che improvvisamente io non ho più il diritto di drogarmi, o che magicamente drogarsi diventa “illegittimo” o "ingiusto". Non è che Pannella che mi ha dato la canna diventa improvvisamente un criminale; i criminali restate tu e quel milione di persone che avete deciso di applicare quella regola ed impedire con la forza uno scambio volontario tra persone consenzienti.

Per fare un altro esempio: se domani la gente si mette d’accordo che non si può cantare “o sole mio” dopo le 20, non è che magicamente tu non hai più il diritto di farlo. E’ vero al più che tu non hai più il potere di farlo (perché se lo fai vieni aggredito) ma il diritto ce l’hai comunque.

Insomma, diritto e legge sono due cose diverse. La legge è espressione del potere, non del diritto. I diritti non possono essere “stabiliti” o “ridefiniti” da nessuno: sono regole praticamente immutabili programmate dall’evoluzione nel cervello (come “è sbagliato aggredire un innocente”, ecc), che entro certi limiti possono essere specializzate dalla cultura. Il tuo consenso può darmi, al massimo, il potere materiale di fare qualcosa, non il diritto di farla.

ma questo continuo ridisegnamento del mondo esce dall’ambito della sacralità per entrare in quello dell’utilità. La proprietà non è sacra, è, al più, utile.


Questo “ridisegnamento” del mondo, che tu vedi come l’atto di definire i diritti, è solo una definizione dei poteri; cioè è la definizione di che cosa ciascuno di noi può fare senza essere aggredito.

Per quanto riguarda l’utilitarismo: questa dottrina (che io una volta sostenevo con convinzione) ha evidenti problemi. Ad esempio, prendi lo scenario seguente: un medico ha 5 pazienti in punto di morte. Ognuno di essi, per vivere, ha bisogno di un organo differente. Il medico si accorge che in sala d’aspetto c’è una persona perfettamente sana. Se la uccidesse e prendesse i suoi organi, potrebbe salvare 5 vite. Cinque al prezzo di uno. Domanda: è giusto uccidere la persona per salvarne 5? Secondo la dottrina utilitaristica, la risposta sembrerebbe essere sì. Ne segue che non siamo utilitaristi. Evidentemente nel nostro cervello c’è una regola che non risponde ai criteri utilitaristici (lascio a te il compito di scoprire quale sia questa regola).

David Friedman, ne L’Ingranaggio della Libertà, fa un esempio simile: lo sceriffo che condanna a morte un innocente per salvare la vita di molti cittadini. Friedman stesso nota i problemi dell’utilitarismo e dichiara di non essere filosoficamente un utilitarista. (Eppure quasi tutti lo chiamano utilitarista, cosa che lo fa innervosire.)

La proprietà non è sacra, è, al più, utile.

Noto che poni di frequente un’alternativa tra utilitarismo e “sacralità”. Per te, o i diritti di proprietà sono fondati sull’utilità, oppure sono “sacri”. Beh, io non vedo nulla di sacro o di mistico nel dire che le regole di funzionamento di una macchina sono fissate, e non si possono cambiare a piacimento. Io, in quanto macchina, non sono in grado di considerare “giusta” una cosa che ritengo ingiusta, indipendentemente da cosa è utile o da cosa la maggioranza ha stabilito lecito. E’ al di là delle mie capacità così come stabilite dal mio programmatore (la selezione naturale), proprio come non riesco a considerare verde una cosa che mi pare gialla. La selezione naturale mi ha dato la capacità di fare qualcosa che ritengo ingiusto, ma non la capacità di considerare giusta quella cosa. Questo non significa che per me il diritto sia qualcosa di “sacro”. Significa solo che è una cosa che non posso cambiare. Una cosa può essere immutabile senza essere sacra. Voglio dire, le macchine hanno dei limiti.

Gli anarco-capitalisti, con il loro giusnaturalismo (escludendo dal novero l’ottimo Friedman)

Forse Friedman non va escluso, perché è dichiaratamente libertario e non utilitarista, presumibilmente giusnaturalista.

possono, sulla base di indimostrabili assiomi sulla sacralità di taluni diritti calati dal cielo

Ma tutti gli assiomi sono indimostrati. Se provi a dimostrarli, necessariamente li dimostri in termini di altri assiomi, i quali resteranno a loro volta indimostrati. Quindi tutti noi abbiamo degli assiomi etici indimostrati --- te compreso, immagino. Nessuno (neppure gli utilitaristi, ammesso che esistano) sono in grado di dimostrare i propri assiomi.

Un esercizio interessante è fare introspezione su se stessi per scoprire quali siano i propri assiomi etici. Uno dei miei assiomi è che l’aggressione contro un non-aggressore è sempre sbagliata, indipendentemente dalla ragione e dalle conseguenze; e quindi è giusto che l’aggressore risarcisca la vittima in proporzione, se essa lo richiede. Considero questo un assioma non perché lo posso dimostrare (nessuno può dimostrare i propri assiomi) ma semplicemente perché questa regola emerge nella mia coscienza; cioè, io sono una macchina programmata per considerare ingiusta quella cosa.


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2. Sui vari significati della parola "libertà"

Scrivi:
indice relativo di libertà è la scelta (di oggetti, stili di vita

Una precisazione: per un libertario, la libertà non è la quantità di scelte o la quantità di opportunità di cui disponi, bensì è la condizione in cui tu non vieni aggredito da altri; la condizione in cui la tua persona e la tua proprietà legittima non subiscono l'aggressione o l'invasione di altre persone.

Per notare la differenza con l'altra definizione, basta notare che, per un libertario, Robinson Crusoe su un'isola deserta è perfettamente libero. Anche se sta morendo di fame ed ha pochissime opportunità o scelte. Ad esempio, Robinson è perfettamente libero di andare sulla luna (sebbene non sia capace di farlo) in quanto nessuno glielo impedisce.

Il caso vuole che questa definizione di libertà (“libertà negativa”) si sia rivelata a posteriori l’unica compatibile con le scoperte scientifiche. Infatti, ciò che abbiamo scoperto sul funzionamento della mente sembra indicare che noi non siamo liberi dai nostri stessi processi mentali. Le nostre decisioni (il cosiddetto “arbitrio”) sono il risultato finale di una computazione che avviene nel nostro cervello, sulla quale non abbiamo controllo. Cioè, non siamo liberi di cambiare l’algoritmo con cui il cervello decide cosa fare. Non siamo liberi dalla nostra stessa mente. Come disse Einstein in forma succinta ma efficace, “non posso volere ciò che non voglio”.

Insomma nessuno è libero da se stesso; dai propri limiti mentali e fisici. Questo suggerisce che l'unico significato della parola libertà che potrebbe avere senso è quello che definisce la libertà come libertà dagli altri (e non dalla sorte o dalle proprie capacità). Che è appunto la definizione libertaria. Chiusa parentesi.

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(Continua nel post successivo)
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