lunedì 14 gennaio 2008

L'istinto morale, di Steven Pinker


Questa è la prima metà della traduzione dell'articolo "l'istinto morale" di Steven Pinker. L'articolo originale in inglese si trova qui. Pinker è uno scienziato linguista e cognitivista autore tra l'altro dei libri "Come funziona la mente" e "Tabula rasa".

Per chi fosse particolarmente interessato a questo argomento, vedere anche qui.


L'istinto morale

Quale delle seguenti persone considerate più degna di ammirazione: madre Teresa, Bill Gates oppure Norman Borlaug? E quale la meno degna? Per la maggior parte della gente si tratta di una domanda facile. Madre Teresa, famosa per essersi presa cura dei poveri a Calcutta, è stata beatificata dal Vaticano, ha ricevuto il premio Nobel per la pace ed è stata classificata in un sondaggio americano come la persona più ammirata del ventesimo secolo. Bill Gates, famigerato per averci donato la graffetta animata Clippy e lo schermo blu della morte, è stato decapitato graficamente nei siti Web "odio Gates" e colpito con una torta in faccia. Per quanto riguarda Norman Burlaugh... chi cavolo è Norman Borlaug?

Eppure uno sguardo più attento potrebbe portarvi a ripensare le vostre risposte. A Borlaug, il padre della "rivoluzione verde" che ha usato la scienza dell'agricoltura per ridurre la fame nel mondo, è stato riconosciuto di aver salvato un miliardo di vite, più di qualunque altra persona nella storia. Gates, nel decidere cosa fare con la sua fortuna, ha calcolato che il modo con cui poteva alleviare più sofferenza era combattere le afflizioni di tutti giorni nel mondo sottosviluppato, come malaria, diarrea e parassiti. Madre Teresa, da parte sua, esaltava la virtù della sofferenza ed amministrava le sue ben finanziate missioni in base a questo principio: ai suoi malati venivano offerte molte preghiere ma condizioni durissime, pochi analgesici e cure mediche pericolosamente primitive.

Non è difficile vedere perché la reputazione morale di questo trio debba essere così lontana dal bene che hanno fatto. Madre Teresa era la personificazione stessa della santità: vestita di bianco, con gli occhi tristi, ascetica e spesso fotografata assieme ai reietti. Gates è il secchione dei secchioni nonché l'uomo più ricco del mondo, con tante probabilità di entrare in paradiso quante il proverbiale cammello di entrare nella cruna di un ago. E Borlaug, che ora ha 93 anni, è un agronomo che ha speso la maggior parte della sua vita in laboratori e associazioni senza scopo di lucro, entrando raramente sotto i riflettori dei media, e quindi nella nostra coscienza.

Dubito che questi esempi persuaderanno chiunque a preferire Bill Gates a madre Teresa in quanto a santità. Ma mostrano che le nostre attenzioni possono essere attirate da un'aura di santità, distraendoci da un'analisi più obiettiva delle azioni che fanno soffrire o star bene le persone. Sembra che siamo vulnerabili ad illusioni morali che sono l'equivalente etico delle illusioni ottiche che si trovano nei libri di psicologia e nelle scatole di cereali, dove alcune linee sembrano incurvarsi ed ingannano l'occhio. Le illusioni sono uno strumento molto usato dagli scienziati della percezione per rivelare il funzionamento dei cinque sensi, e dai filosofi per farci abbandonare l'ingenua convinzione che la nostra mente ci offra una fotografia attendibile del mondo (poiché se i nostri occhi possono essere ingannati da un'illusione, perché dovremmo fidarci di loro in altri momenti?). Oggi un nuovo settore scientifico sta usando le illusioni per smascherare un sesto senso, il senso morale. Le intuizioni morali vengono estratte dai soggetti in laboratorio, su siti Web o con scanner cerebrali, e vengono spiegate con strumenti provenienti dalla teoria dei giochi, dalla neuroscienza e della biologia evoluzionistica.

"Due cose riempiono la mente di ammirazione e stupore, sempre più forti man mano che ci riflettiamo sopra" scrisse Immanuel Kant "il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi". Al giorno d'oggi, la legge morale viene guardata con stupore sempre maggiore, sebbene non sempre con ammirazione. Il senso morale umano si rivela essere un organo di complessità notevole, con piccole stranezze che riflettono la sua storia evolutiva e il suo fondamento neurobiologico.

Queste stranezze sono destinate ad avere implicazioni per i predicamenti umani. La moralità non è solo un argomento come un altro in psicologia ma è vicina alla nostra concezione del significato della vita. La bontà morale è ciò che ci fa sentire esseri umani degni di questo nome. La cerchiamo nei nostri amici e compagni, cerchiamo di impartirla ai nostri figli, la esponiamo nella nostra politica e la giustifichiamo con la nostra religione. La colpa dei peccati di tutti giorni e delle peggiori atrocità della storia viene attribuita a una mancanza di rispetto per la moralità. Per sopportare questo peso, il concetto di moralità dovrebbe essere più grande di ciascuno di noi e al di fuori di ciascuno di noi.

Quindi indagare sulle intuizioni morali non è una questione da poco. Se la moralità è semplicemente un'illusione del cervello, alcuni temono che possano crollare le stesse fondamenta dell'essere morali. Eppure, come vedremo, la scienza del senso morale può al contrario rafforzare queste basi, chiarendo cosa è la moralità e come dovrebbe guidare le nostre azioni.

L'interruttore della moralizzazione

Il punto di partenza per rendersi conto che la nostra psicologia morale ha qualcosa di unico è notare come i giudizi morali differiscano dagli altri tipi di opinioni che abbiamo di come le persone dovrebbero comportarsi. La moralizzazione è uno stato psicologico che si può accendere e spegnere come un interruttore, e, quando è acceso, il nostro pensiero è guidato da una mentalità molto particolare. È la mentalità che ci fa qualificare alcune azioni come immorali ("uccidere è sbagliato") piuttosto che semplicemente non condivisibili (odio i cavoletti di Bruxelles), sconvenienti (il doppio petto è fuori moda) o imprudenti ("non grattarti le punture di zanzara").

Il primo segno distintivo della moralizzazione è che le regole da essa invocate vengono percepite come universali. La proibizione dello stupro e dell'omicidio, ad esempio, vengono percepite non come questioni di costume locale ma come qualcosa che deve essere garantito universalmente e oggettivamente. Uno può facilmente dire "non mi piacciono i cavoletti di Bruxelles, ma non ho alcun problema se tu li vuoi mangiare" ma nessuno direbbe "non mi piace uccidere, ma non ho problemi se tu uccidi qualcuno".

L'altro segno distintivo è che le persone sentono che coloro che commettono atti immorali meritano di essere puniti. Non solo è lecito infliggere dolore in una persona che ha rotto una regola morale; addirittura è sbagliato non farlo, cioè "lasciare che la faccia franca". Le persone quindi non hanno alcun problema ad invocare la retribuzione divina o il potere dello Stato per infliggere un danno ad altre persone che ritengono immorali. Scrisse Bertrand Russell: "Poter infliggere dolore con la coscienza pulita è una cosa che manda in visibilio i moralisti -- ecco perché hanno inventato l'inferno".

Sappiamo tutti cosa si prova quando scatta dentro di noi l'interruttore della moralizzazione -- il senso di essere nel giusto, il bruciore dell'ingiustizia, l'impulso di reclutare altre persone nella nostra causa. Lo psicologo Paul Rozin ha studiato questo interruttore confrontando due tipi di persone che assumono lo stesso comportamento ma con diverse motivazioni per azionare l'interruttore. Quelli che sono vegetariani a scopo di salute evitano la carne per ragioni pratiche, come abbassare il colesterolo ed evitare le tossine. I vegetariani morali evitano la carne per ragioni etiche: per evitare di essere complici nella sofferenza degli animali. Investigando i loro sentimenti circa l'atto di mangiare carne, Rozin ha mostrato che l'obiettivo morale mette in azione una catena di opinioni. I vegetariani morali hanno più probabilità di trattare la carne come un contaminante -- ad esempio si rifiutano di mangiare una zuppa in cui è caduta una goccia di brodo di carne. Hanno una probabilità maggiore di pensare che gli altri dovrebbero essere vegetariani, e hanno maggior probabilità di collegare le proprie abitudini alimentari con altre virtù, come il credere che evitare la carne renda le persone meno aggressive e bestiali.

La maggior parte della nostra storia sociale recente, comprese le guerre culturali tra sinistra a destra, consiste nella moralizzazione o amoralizzazione di alcuni comportamenti. Anche quando le persone sono d'accordo che sia desiderabile un certo risultato, possono non essere d'accordo se si debba trattare come una questione di preferenza e prudenza oppure come una questione di peccato e virtù. Ad esempio, Rozin nota che l'atto di fumare è stato recentemente moralizzato. Fino a poco tempo fa, si capiva che alcune persone non amavano fumare o lo evitavano perché era un danno per la loro salute. Ma con la scoperta degli effetti nocivi nel fumo passivo, fumare è oggi divenuto immorale. I fumatori sono ostracizzati; le immagini delle persone che fumano vengono censurate; e gli oggetti toccati dal fumo vengono percepiti come contaminati (per cui gli hotel hanno non solo camere per non fumatori ma piani per non fumatori). La sete di retribuzione è stata indirizzata verso le compagnie del tabacco, a cui sono stati inflitti enormi "danni punitivi".

Allo stesso tempo, molti comportamenti sono stati amoralizzati, passando da errori morali a scelte di vita. Includono il divorzio, l'illegittimità, l'essere una madre che lavora, il fare uso di marijuana e l'essere omosessuali. Molte condizioni di sofferenza che una volta erano considerate un pagamento per aver fatto cattive scelte ora vengono considerate il frutto della sfortuna. Una volta c'erano persone che venivano chiamate "barboni" ["bums" e "trams"], mentre ora sono "senzatetto". La tossicodipendenza è una "malattia"; la sifilide una volta era il pagamento per un comportamento libertino, poi è diventata una "malattia sessualmente trasmessa" e più recentemente è diventata una "infezione sessualmente trasmessa".

Questa ondata di amoralizzazione ha portato la destra culturale a dire che la moralità stessa è sotto assalto [..]. Al contrario sembra esistere una Legge della Conservazione della Moralità, tale che, man mano che alcuni vecchi comportamenti vengono rimossi dall'elenco di quelli moralizzati, ne vengono aggiunti dei nuovi. Molte cose che le generazioni passate trattavano come faccende pratiche ora sono diventate questioni etiche, e comprendono i pannolini che si possono gettare nell'immondizia, i test di intelligenza, le fattorie dove si allevano polli, le bambole Barbie e la ricerca sul cancro al seno. Il cibo è diventato un campo minato, in cui molti critici si profondono in sermoni riguardanti la dimensione delle lattine, la chimica dei grassi, la libertà dei polli, il prezzo dei chicchi di caffè, le specie di pesci, e oggi la distanza che è stata percorsa dal cibo per giungere dalla fattoria al nostro piatto.

Molte di queste moralizzazioni, come l'assalto al fumo, si possono spiegare come tattiche pratiche per ridurre alcuni danni recentemente identificati. Ma non è sempre così: se un'attività fa scattare o meno il nostro interruttore morale non è soltanto una faccenda di quanto danno fa. Noi non mostriamo disprezzo verso un uomo che per negligenza non cambia la batteria nei suoi allarmi antifumo, o che porta la sua famiglia in vacanza in automobile, entrambi cose che moltiplicano il rischio di morire in un incidente. Guidare una Hummer che consuma moltissimo è considerato riprovevole, ma guidare una vecchia Volvo che consuma moltissimo non lo è; mangiare un Big Mac è un atto non coscienzioso, ma mangiare del formaggio importato o la creme brulee non lo è. La ragione di questo doppio standard è ovvia: la gente tende ad allineare la propria moralizzazione con il proprio stile di vita.

Ragionare e razionalizzare

Non è solo il contenuto dei nostri giudizi morali ad essere spesso discutibile, ma il modo in cui ci arriviamo. Ci piace pensare che, quando abbiamo una convinzione, ci sono buone ragioni che ci hanno portato a maturarla. Ecco perché un approccio meno recente alla psicologia morale, condotto da Jean Piaget e Lawrence Kohlberg, ha cercato di documentare il modo di ragionare che guidava le persone verso conclusioni morali. Ma considerate queste situazioni, ideate dallo psicologo Jonathan Haidt:

Julie, una ragazza che frequenta il college, si trova in viaggio in Francia, in vacanza estiva, con suo fratello Mark. Una notte decidono che sarebbe interessante e divertente se provassero a fare l'amore. Julie stava già prendendo pillole anticoncezionali, ma Mark decide di indossare anche il preservativo, per maggiore sicurezza. Il rapporto sessuale risulta piacevole per entrambi, ma decidono di non ripeterlo. Conservano quella notte come un segreto speciale, che li rende più vicini l'uno con l'altra. Che cosa ne pensate? E' stato ok per loro fare l'amore?

Una donna sta pulendo l'armadio e trova una sua vecchia bandiera americana. Non la vuole più, quindi la fa a pezzi e la usa come straccio per pulire il bagno.

Il cane di una famiglia viene investito e ucciso da una macchina davanti a casa loro. I membri della famiglia avevano sentito dire che la carne di cane è deliziosa, quindi fanno a pezzi il corpo del cane, lo cucinano e lo mangiano per cena.

La maggior parte delle persone dichiara immediatamente che questi atti sono sbagliati, ma poi ha problemi a giustificare perché sono sbagliati. Non è così facile. Nel caso di Julie e Mark, le persone tirano in ballo la possibilità di generare figli con difetti di nascita, ma poi si ricordano della coppia è stata attenta alla contraccezione. Suggeriscono che i due fratelli avranno un danno emotivo, ma la storia chiarisce che non è stato così. Provano a dire che l'atto offenderebbe la comunità, ma poi si ricordano che l'atto è stato mantenuto segreto. Alla fine molte persone ammettono "non lo so, non riesco a spiegarlo, semplicemente so che è sbagliato". Le persone in genere non fanno un ragionamento morale, dice Haidt, ma una razionalizzazione morale [a posteriori]: partono dalla conclusione, che è stata generata da un'emozione inconscia, e poi ragionano all'indietro per cercare una giustificazione plausibile. [Notare l'affinità con questo esperimento, in cui la decisione non è stata presa da te, ma tu ti autoconvinci che sei stato tu, NdM].

La lacuna tra le convinzioni delle persone e le loro giustificazioni è anche molto evidente in un esperimento mentale oggi molto in voga tra gli psicologi morali, inventato dai filosofi Pjilippa Foot e Judith Jarvis Thomson, chiamato il problema del carrello ferroviario. [L'abbiamo già visto qui, NdM]. Stai camminando di mattina e vedi un carrello ferroviario che corre impazzito lungo la rotaia, perché il suo conducente è svenuto al comando. Sul percorso del carrello ci sono cinque uomini che lavorano alla rotaia, ignari del pericolo. Tu ti trovi a una biforcazione nella rotaia e hai la possibilità di tirare la leva che dirotterà il carrello su un binario laterale, salvando i cinque uomini. Sfortunatamente, il carrello in quel caso investirà il singolo operaio che sta lavorando in quel punto. È lecito azionare lo scambio, uccidendo un uomo per salvarne cinque? quasi tutti rispondono di sì.

Considerate ora una scena diversa. Siete su un ponte da cui si vedono le rotaie sottostanti, e avete visto il carrello impazzito che sta per investire i 5 operai. Ora l'unico modo di fermare il carrello è lanciare un oggetto pesante sul suo percorso. E l'unico oggetto pesante nei paraggi è un uomo grasso che si trova vicino a te. Dovresti lanciare l'uomo giù dal ponte? Entrambi i dilemmi ti offrono l'opzione di sacrificare una vita per salvarne cinque, e quindi, secondo gli standard utilitaristici di ciò che produrrebbe il bene maggiore per il maggior numero di persone, i due dilemmi sono moralmente equivalenti. Eppure la maggior parte delle persone non la vedono così: azionerebbero il cambio nel primo dilemma, ma non spingerebbero l'uomo grasso nel secondo. Quando si chiede loro la ragione, non riescono a dire nulla di coerente, sebbene anche i filosofi morali abbiano avuto difficoltà a trovare una differenza rilevante.

[..] Questa differenza tra la liceità di azionare il cambio nei due casi, e l'incapacità di giustificare la scelta, è stata riscontrata negli abitanti dell'Europa, Asia, Nord America e Sud America; tra uomini e donne, bianchi e neri, teenager e ottuagenari, induisti, musulmani, buddisti, cristiani, ebrei ed atei; persone con la licenza di scuola elementare e persone con un dottorato. [E anche tra tribù completamente isolate dal mondo civile, dove i concetti di ferrovia e carrello sono stati tradotti con concetti corrispondenti a loro comprensibili, come alligatore e canoa, NdM]

Joshua Greene, filosofo e neuroscienziato cognitivista, suggerisce che l'evoluzione abbia dotato le persone di una repulsione verso l'atto di usare la forza verso una persona innocente. [Dawkins sostiene che la legge morale, creata dall'evoluzione, è che non è lecito usare un tuo simile come mezzo non consenziente per uno scopo: nel primo caso l'uomo sacrificato sul binario laterale non sta venendo usato da me come mezzo, ma è una "vittima collaterale", NdM.] Questo istinto, suggerisce Greene, tende a prevalere su qualunque calcolo utilitaristico che tenga conto del numero di vite salvate e perdute. [Nota: questo stesso argomento è usato anche dai libertari per sostenere che non è moralmente lecito sottrarre con la forza un centesimo a un ricco per salvare la vita a un povero, NdM. ] La repulsione verso l'atto di usare la forza verso un proprio simile spiegherebbe altri esempi in cui le persone non ritengono lecito uccidere una persona per salvarne tante, come il caso di uccidere in modo indolore un paziente di un ospedale allo scopo di salvare la vita di cinque pazienti che hanno bisogno di un trapianto, o il caso di gettare qualcuno da una barca affollata per evitare che affondi.

Di per sé questa non sarebbe molto più che una storia plausibile, ma Greene si è associato al neuroscienziato cognitivista Jonathan Cohen e numerosi altri colleghi di Princeton per spiare all'interno del cervello delle persone per mezzo dell'M.R.I. funzionale. Hanno cercato segni di un conflitto tra le aree del cervello associate alle emozioni (quelle che si attivano quando si fa del male a qualcuno) e le aree adibite all'analisi razionale (quelle che calcolano le vite salvate e perdute).

Quando le persone ponderavano i dilemmi che richiedevano di uccidere qualcuno a mani nude, si accendevano diverse aree del cervello. Una di esse, che comprende le parti mediali (rivolte verso l'interno) dei lobi frontali, è implicata nelle emozioni verso le altre persone. Un'altra area, quella dorsolaterale (rivolta verso l'alto e l'esterno), è implicata nella computazione mentale (il che comprende il ragionamento nonmorale, come decidere se prendere il treno o l'aereo per andare da qualche parte). E una terza regione, la corteccia cingolata anteriore (una striscia evolutivamente antica che si trova alla base della superficie interna di ciascun emisfero del cervello) registra un conflitto tra un impulso proveniente da una parte del cervello e un precetto che proviene da un altro.

Ma quando le persone stavano ponderando un dilemma dove non è necessario mettere le mani addosso a nessuno, come quello di azionare il cambio ferroviario, il cervello reagiva in modo diverso: si attivava solo l'area di cervello associata al calcolo razionale.

Altri studi hanno mostrato che i pazienti neurologici che subiscono una menomazione alle emozioni, a causa di danni ai lobi frontali, si trasformano in utilitaristi: essi ritengono che abbia perfettamente senso gettare l'uomo grasso giù dal ponte. Tutte queste scoperte messe assieme corroborano la teoria di Greene che le nostre intuizioni non-utilitaristiche derivano dal fatto che un impulso emotivo prevale sull'analisi razionale costi-benefici.



Una moralità universale?

Le scoperte della carrellologia -- intuizioni morali complesse, istintive e comuni in ogni parte del mondo -- hanno portato Hauser e John Mikhail (uno studioso di legge) a ripescare un'analogia del filosofo John Rawls tra il senso morale e il linguaggio. Secondo Noam Chomsky, veniamo al mondo dotati di una "grammatica universale" che ci costringe ad analizzare la lingua parlata in termini della sua struttura grammaticale, senza avere alcuna consapevolezza conscia delle regole del linguaggio. Per analogia, veniamo al mondo con una grammatica morale universale che ci costringe ad analizzare l'azione umana in termini della sua struttura morale, anche qui senza consapevolezza di ciò che avviene nel nostro cervello.

L'idea che il senso morale sia una parte innata della natura umana non è un'esagerazione. L'antropologo Donald E. Brown ha riempito un elenco di caratteristiche universali umane, che comprende molti concetti ed emozioni morali, tra cui la distinzione tra giusto e sbagliato; l'empatia; l'equità; l'ammirazione della generosità; i diritti e gli obblighi; la proscrizione di omicidio, stupro ed altre forme di violenza; la compensazione dei torti; le sanzioni per i torti contro la comunità; la vergogna; i tabù.

Gli impulsi della moralità si manifestano presto nell'infanzia. I bambini offrono spontaneamente giocattoli ed aiuto ad altri, e cercano di confortare le persone che vedono in pena. E secondo gli psicologi Elliot Turel e Judith Smetana, i bambini dell'asilo conoscono già in parte la differenza tra le convenzioni sociali e i principi morali. I bambini di quattro anni dicono che non è lecito indossare il pigiama a scuola (una convenzione) e anche che non è lecito colpire una bambina senza ragione (un principio morale). Ma quando si chiede loro se queste azioni sarebbero lecite se il maestro le permettesse, la maggior parte dei bambini dicono che indossare il pigiama sarebbe ora lecito, ma colpire una bambina non lo sarebbe.

Sebbene nessuno abbia identificato i geni della moralità, c'è evidenza circostanziale della loro esistenza. Quei tratti del carattere chiamati "coscienziosità" e "condivisibilità" sono molto più correlati nei gemelli identici separati alla nascita (i quali condividono i geni ma non l'ambiente) che in fratelli adottivi allevati insieme (i quali condividono l'ambiente ma non i geni). Le persone a cui viene diagnosticato il "disordine antisociale della personalità" o la "psicopatia" mostrano segni di cecità morale sin da bambini. Fanno bullismo sui bambini più piccoli, torturano gli animali, mentono abitualmente e sembrano incapaci di empatia o rimorso, spesso pur avendo una famiglia normale. Alcuni di questi bambini crescendo diventano dei mostri che derubano gli anziani di tutti i loro risparmi, stuprano molte donne in successione o sparano ai commessi nei negozi di alimentari sdraiati al suolo durante una rapina.

Sebbene la psicopatia derivi probabilmente da una predisposizione genetica, in una versione più debole può essere causata da un danno alle regioni frontali del cervello (comprese le aree che impediscono alle persone normali di spingere l'ipotetico uomo grasso giù dal ponte). I neuroscienziati Hanna ed Antonio Damasio e i loro colleghi hanno scoperto che alcuni bambini che subiscono gravi danni ai lobi frontali possono diventare crudeli e irresponsabili da adulti, pur avendo un'intelligenza normale. Essi mentono, rubano, ignorano le punizioni, mettono in pericolo i propri figli e non riescono a venire a capo neppure del più semplice dilemma morale, come che cosa devono fare due persone se non sono d'accordo su quale canale tv guardare, o se un uomo possa rubare un farmaco per salvare sua moglie che sta morendo.

Il senso morale, dunque, potrebbe essere radicato nell'architettura del cervello umano normale. Eppure [...] questa idea è nel caso migliore incompleta. Considerate questo dilemma morale: un carrello impazzito sta per uccidere una maestra di scuola. Potete dirottare il carrello su un binario laterale, ma il carrello attiverebbe un interruttore che manda un segnale ad una classe di bambini di sei anni, dando loro il permesso di dare il nome Maometto ad un orsetto di peluche. È lecito spingere la leva?

Questo non è uno scherzo. Il mese scorso una donna britannica che insegnava in una scuola privata in Sudan ha permesso alla sua classe di dare a un orsetto il nome del bambino più popolare della classe, che aveva il nome del fondatore dell'Islam. È stata incarcerata per blasfemia e minacciata di flagellazione pubblica, mentre una folla fuori della prigione pretendeva la sua morte. Per queste persone, la vita della donna chiaramente valeva meno che massimizzare la dignità della loro religione, e il loro giudizio sulla domanda se sia giusto deviare l'ipotetico carrello sarebbe stato diverso dal nostro. Qualunque grammatica guidi i giudizi morali delle persone non può essere troppo universale. Chiunque abbia seguito un corso introduttivo di antropologia senza dormire potrebbe offrire molti altri esempi.

(continua qui)
blog comments powered by Disqus